L’emergenza Covid-19 ha rimesso al centro della scena i cosiddetti esperti. Da febbraio a questa parte non passa giorno senza che i media non riportino il parere di un virologo, un epidemiologo o un medico sul nuovo coronavirus e sulla pandemia. Per non parlare dell’importanza assunta dal comitato tecnico scientifico che, citato in ogni conferenza stampa, è diventato l’Autorità, un’entità astratta che però ha il potere di decidere delle nostre vite. “Tutta questa attenzione alla scienza, raccontata tuttavia in modo spesso superficiale e frammentario, ha contribuito a creare confusione e ad allargare la spaccatura tra esperti e cittadini”, sottolinea Dominique Van Doorne, medico e presidente dell’Accademia dei pazienti Onlus – Eupati. Per questo l’organizzazione, che si occupa di formare i rappresentanti italiani dei pazienti sui processi di ricerca e sviluppo dei farmaci, ha pubblicato un documento con cui prende posizione in merito all’infodemia verificatasi durante l’emergenza Covid-19. La scienza – scrivono i 41 firmatari – ha bisogno di tempo per confermare i dati.
Eupati e l’Accademia dei Pazienti
L’Accademia dei Pazienti Onlus nasce nel 2014 dalla volontà di diversi stakeholder (da istituzioni come il Ministero della Salute e l’Aifa a Farmindustria, dai centri di ricerca e cura alle associazioni di categorie e di pazienti) di trasporre in lingua italiana la formazione offerta dal progetto europeo Eupati (European Patients’ Academy on Therapeutic Innovation), con l’obiettivo di coinvolgere in modo attivo i pazienti e i loro familiari nel processo di ricerca e sviluppo dei farmaci.
Eupati, dunque, offre una formazione specialistica, paragonabile a un master universitario di II livello, per trasmettere ai partecipanti conoscenze e competenze sia in ambito scientifico sia regolatorio, strumenti con cui possano portare avanti le proprie istanze e dare un contributo autorevole e consapevole allo sviluppo di terapie innovative. Il master dell’Accademia dei Pazienti Onlus è partito nel 2018 e nel 2019 si sono diplomati i primi 41 pazienti esperti italiani.
“Tutti gli stakeholder ormai hanno capito che la figura del paziente esperto, informato, è fondamentale”, spiega Van Doorne. “Fino a una decina di anni fa le decisioni sulla salute, dai temi su cui fare ricerca fino alle cure da sperimentare, erano prese da tutti fuorché dalle persone direttamente interessate, cioè i pazienti, che però sono gli unici ad avere davvero esperienza della malattia e che quindi sanno quali sono realmente i bisogni da soddisfare e possono aiutare a indirizzare la ricerca e a non disperdere le risorse”.
La voce dei pazienti sulla ricerca
“Qualche anno fa – esemplifica la presidente – uno studio su un farmaco per l’epilessia è naufragato perché i ricercatori che lo hanno disegnato avevano imposto criteri per il coinvolgimento dei pazienti irrealistici. Le persone da coinvolgere nel trial non dovevano assumere più di tre farmaci, secondo il disegno. Peccato che in pratica nessun paziente epilettico prenda meno di tre farmaci. Se fosse stato richiesto il parere di un paziente esperto le condizioni sarebbero cambiate molto”.
La figura del paziente esperto è ormai ritenuta fondamentale anche in sede di registrazione del farmaco, per equilibrare le trattative tra gli enti regolatori e le aziende. “Inoltre ha, o dovrebbe avere, un ruolo cruciale durante lo svolgimento delle sperimentazioni cliniche, come una sorta di tutor per i pazienti coinvolti”, precisa Van Doorne. “I pazienti che partecipano a uno studio clinico che non hanno acquisito particolari competenze sul processo di ricerca e sviluppo dei trattamenti sperimentali, infatti, molto spesso all’inizio sono spaventati e disorientati. Possono non comprendere i documenti di consenso informato, per esempio, e se non trovano risposte alle loro domande è facile che decidano di uscire dalla sperimentazione. Questo fenomeno, chiamato drop-out, penalizza lo studio dal punto di vista dei risultati e comporta una perdita economica”.
Il pazienti esperto “mediatore” ai tempi del coronavirus
Ma che ruolo possono avere i pazienti esperti durante un’emergenza sanitaria come quella causata dal nuovo coronavirus Sars-CoV-2? “I pazienti esperti sanno tutto di ricerca e sviluppo dei farmaci”, spiega Van Doorne. “Conoscono il metodo scientifico e i tempi della ricerca, sanno la differenza tra uno studio prospettico e uno studio osservazionale retrospettivo, cosa significa studio randomizzato o in doppio cieco. E capiscono la forza dimostrativa di una sperimentazione”. Conoscenze, queste, che un qualunque cittadino non ha, non riuscendo pertanto a interpretare la valanga di informazioni scientifiche sul coronavirus proposte, spesso in modo maldestro, dai media. “E’ anche da questo che nascono le fake news, che minano la fiducia dei cittadini nei confronti degli esperti e delle istituzioni”, chiarisce Van Doorne. “I nostri pazienti esperti possono contribuire a prevenire e a sanare la frattura: non sono scienziati, ma cittadini competenti che sanno che la scienza ha bisogno di tempo per confermare i dati, e possono contribuire a far chiarezza e a far comprendere il messaggio all’opinione pubblica disorientata. E’ questa la forza del documento sottoscritto”.
Foto di thedarknut da Pixabay
Ho scritto tempo fa sulla grande utilità dei pazienti esperti in medicina narrativa, per il SSN e per l’industria di supporto alla sanità. C’è una categoria di pazienti esperti, però, regolarmente ignorati da tutti (o quasi), pazienti che non hanno bisogno di formazione e di formatori, ma pazienti molto più utili alla sanità. Si tratta dei medici che si sono ammalati gravemente di patologie che hanno conosciuto bene da curanti e che si sono trovati dall’altra parte, con individuazione di criticità che da curanti possono non vedersi, e con soluzioni individuate da tecnici sia pure malati. Ma saranno, per tanti motivi, ignorati dalla medicina narrativa – facile previsione -perché sarà più utile ad alcuni formatori formare pazienti che non avere a che fare con pazienti-esperti e cioè medici-malati.