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Si può raccontare la malattia con un tweet?

16 Aprile 2015 - di Redazione OMNINEWS

Le tecnologie digitali e i social media aiutano i pazienti a condividere l’esperienza di malattia? E come cambia il lavoro di medici e caregiver? Se ne è discusso a Foligno alla quarta edizione del Convegno Nazionale di Medicina Narrativa

A Foligno solo posti in piedi: oltre 150 persone, soprattutto giovani, hanno affollato la Sala Alesini del presidio ospedaliero della città, alla quarta edizione del Convegno Nazionale di Medicina Narrativa lo scorso 15 aprile. D’altra parte, il tema era di quelli forti. “Narrazione e salute digitale”, ovvero in che modo i nuovi strumenti della comunicazione digitale (dai blog ai social come Facebook e Twitter, passando per Skype) possano rappresentare un vantaggio (o un freno) al racconto dell’esperienza della malattia da parte dei pazienti, o siano in grado di facilitare la vita (o complicarla) a chi li ha in carico, dal caregiver al medico.

Ecco allora che, dopo l’introduzione di Paolo Trenta, tra gli organizzatori dell’evento, ha preso il via lo speech di Pierluigi Brustenghi, della Usl Umbria 2, che pur sottolineando i vantaggi dei nuovi strumenti ha tuttavia sollevato una questione di formazione: raccontare la malattia con un tweet? Si può, ma bisogna saperlo fare. In altre parole bisogna saper usare la rete, e in particolar modo i social media. Soprattutto, bisogna scongiurare il rischio di distacco dal reale: non trasferiamo troppo nella relazione virtuale, ammonisce Brustenghi, o non sapremo più ascoltare il paziente.

Mauro Zampolini, promotore insieme a Trenta e Stefania Polvani dell’Osservatorio OMNI, racconta invece una sperimentazione di riabilitazione a distanza, grazie alle videoconferenze via Skype. Un’intuizione “low cost” in grado di garantire al paziente tornato a casa dopo l’ospedalizzazione un rapporto in tempo reale con chi ha gestito la terapia sino al giorno prima, riuscendo in questo modo anche a gestire le preoccupazioni del caregiver nei casi più complessi.

Dall’Università di Lucerna, in Svizzera, Sara Rubinelli racconta invece di quanto sia complicato aggregare i pazienti in gruppi di discussione tematici. Partendo dal presupposto che chi ha esperienza concreta di malattia (in questo caso pazienti con frattura della colonna vertebrale, dunque con difficoltà motorie) è una delle migliori fonti di suggerimenti per la vita quotidiana di chi condivide questa esperienza – il cosiddetto peer counseling – si è messo in piedi un sito (Paraforum) per la condivisione delle esperienze. E tuttavia, come è emerso dalle analisi del traffico web, è chiaro come questo tipo di pazienti non voglia sentirsi rinchiuso in un ghetto, seppur virtuale, e preferisca condividere consigli e storie di vita con l’insieme degli amici, non soltanto con persone colpite dalla stessa malattia. Perché – spiega Rubinelli – essere in un network non specialistico normalizza l’esperienza della malattia, regala autorevolezza e riconoscimento sociale tra gli amici.

Eppure raccontare la malattia e condividerla anche con alcuni compagni di cammino può essere importantissimo. Ne ha parlato Romina Fantusi, blogger e tra le animatrici del portale oltreilcancro.it, luogo di ritrovo di pazienti ed ex pazienti alle prese con il tumore. Con entusiasmo e ironia ha spiegato l’importanza della “blog terapia”. Perché scrivere, e perché farlo in rete? “Narrare la malattia sul web è come sorvolare in aereo un’area devastata da un terremoto. E’ utile per allontanarsi dall’accaduto, per capire cosa è rimasto in piedi e cosa è stato distrutto dal cataclisma”, spiega Fantusi. Tenere un blog esorcizza la paura, consente di ri-conoscersi dopo i cambiamenti della malattia, e aiuta gli amici, i familiari e i medici a capire cosa sta davvero succedendo alla persona cara e al paziente. Ma per condividere storie non c’è neanche bisogno di grandi strumenti, come ricorda l’antropologa Cristina Cenci, del Center for Digital Health Humanities: perché i siti più frequentati dai malati sono, paradossalmente, quelli meno curati dal punto di vista grafico ma ricchi di contenuti. Soprattutto, non somigliano a uno studio medico, e dunque non allontanano chi in questi luoghi passa già buona parte della sua vita.

L’esperienza della campagna Viverla Tutta è invece protagonista della relazione di Stefania Polvani, della Asl10 Toscana. Un’iniziativa sostenuta da repubblica.it che ha raccolto centinaia di adesioni, racconti ed esperienze che ora verranno analizzate e sistematizzate, per rendere una fotografia chiara di quanto accade nel web a proposito delle narrazioni dei pazienti.

A chiudere l’intensa giornata è Antonio Casilli di ParisTech, che illustra uno studio condotto sui siti pro-ana, che nell’opinione comune istigano gli adolescenti ai disturbi alimentari. Un’analisi accurata e senza pregiudizi svela, tuttavia, che queste pagine web accuratamente nascoste agli occhi dei censori sono luoghi fondamentali di narrazione della patologia, e rappresentano un punto di incontro non trascurabile, e spesso molto utile anche al medico, per chi soffre di queste malattie.

Photo Credit: pestoverde via Compfight cc

Tag: medicina digitale, social media

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