Non solo anamnesi, prescrizioni e raccomandazioni. Per essere un buon medico serve anche qualcosa di molto più impalpabile, ma non per questo meno importante: la capacità di stabilire una relazione empatica, di ascolto e mutua fiducia. Come ci dice la medicina narrativa e tanti studi che la supportano, questa è una condizione essenziale per favorire la collaborazione del paziente, per migliorare la sua aderenza alle prescrizioni e quindi l’esito della cura. D’altro canto, è innegabile – anche in questo caso sono i dati a dirlo – che i medici non ricevono una formazione al riguardo. E poi anche nella quotidianità hanno sempre meno tempo per costruire un buon rapporto con i pazienti, sempre più pressati come sono da richieste di produttività, incombenze burocratiche, aggiornamento professionale. Ed è questo scenario del rapporto-medico-paziente che un’équipe di scienziati dell’Università di Stanford ha analizzato per due anni, giungendo oggi a stilare cinque buone pratiche, evidence-based, per aiutare i medici a migliorare il rapporto con i propri pazienti sfruttando al meglio il tempo a disposizione. Lo studio è stato pubblicato su Jama.
Il primo appuntamento
“Quando abbiamo iniziato a lavorare su questo tema”, racconta Donna Zulman, una degli autori della ricerca, condotta in collaborazione con Presence, centro interdisciplinare di Stanford che ha l’obiettivo di costruire e rinsaldare il ponte tra le scienze umane e la medicina, “avevamo l’obiettivo di individuare le buone pratiche che migliorano l’esperienza dei pazienti e portano a innalzare la qualità delle cure che ricevono. Ma volevamo anche di rendere più efficiente il lavoro dei medici e di far loro riscoprire la gioia della medicina”.
Il progetto di ricerca era concentrato, in particolare, sui primi incontri tra medico e paziente, quando le interazioni umane dovrebbero avere la meglio sulle procedure “istituzionali”. “Il nostro lavoro”, spiega ancora la clinica, “ci porta a stare in contatto con persone che vivono momenti molto vulnerabili. Ed è purtroppo facile, a causa degli obblighi burocratici cui siamo sottoposti o del poco tempo a disposizione, perdere di vista o trascurare questo aspetto. Non dovrebbe succedere”.
La ricerca
Per individuare le buone pratiche da suggerire ai medici, gli autori dello studio hanno esaminato 73 lavori scientifici sul tema pubblicati tra il gennaio 1997 e l’agosto 2017. Hanno poi osservato centinaia di incontri medico-paziente e intervistato decine di clinici, pazienti, caregiver e professionisti al di fuori del campo della medicina. Mettendo insieme tutte queste informazioni, gli autori sono arrivati a individuare 31 idee preliminari, poi esaminate e accorpate in cinque buone pratiche con l’aiuto di un gruppo eterogeneo di esperti (medici, ricercatori, attivisti per i diritti dei pazienti, attivisti per i diritti dei caregiver, altri operatori sanitari).
5 buone pratiche per un buon rapporto medico-paziente
Ecco dunque, finalmente, le buone pratiche individuate:
- Preparati bene: familiarizza con il paziente che stai per incontrare ancora prima di farlo; stabilisci un “rituale” per focalizzare la tua attenzione prima della visita.
- Ascolta attentamente e completamente: siedi, piegati in avanti e predisponiti all’ascolto; non interrompere il paziente, che è la tua fonte di informazioni più preziosa.
- Cerca di capire cosa conta di più: scopri di cosa si preoccupa il paziente e inserisci queste priorità nello schema della tua visita.
- Sii connesso con la storia del tuo paziente: considera le circostanze che influenzano la sua salute, riconosci i suoi sforzi e celebra con lui i suoi successi.
- Sta’ attento ai segnali emotivi: nota e attribuisci un nome alle emozioni del tuo paziente per diventare un partner di fiducia.
Prossimo passo, la verifica
Il prossimo passo – annunciano i ricercatori -sarà di valutare se queste pratiche, messe in atto in modo corretto, avranno davvero un impatto sull’esperienza di clinici e pazienti: per farlo è stato avviato un nuovo progetto di ricerca che coinvolge tre istituti medici nell’area di Stanford.
“Le cinque pratiche che abbiamo individuato sono valide sempre e ovunque, indipendentemente dalle circostanze”, dice Abraham Verghese, direttore di Presence e coautore del lavoro. “I pazienti ci vogliono più presenti. E noi vogliamo esserlo: senza il contatto umano la nostra vita professionale perde molto di significato”.
Riferimenti:
Practices to Foster Physician Presence and Connection With Patients in the Clinical Encounter
Can an Evidence-Based Approach Improve the Patient-Physician Relationship?
Connecting With Patients—The Missing Links
Bellissimo. Grazie.