di Nino Cartabellotta (presidente Fondazione Gimbe)
Se è certo che la comunicazione medico-paziente è il fondamento di una relazione ottimale finalizzata a decisioni realmente condivise, alcune informazioni possono non solo amplificare inconsapevolmente i sintomi dei pazienti, ma anche accentuare gli stress somatici, dimostrando il potenziale effetto iatrogeno delle parole del medico, che si aggiunge agli effetti collaterali di farmaci, test diagnostici e altri interventi sanitari. Per comprendere questo apparente paradosso, bisogna partire dalla consapevolezza che sintomi e malattie non si riflettono mai specularmente in un rapporto 1:1: infatti, accanto a sintomi che possono presentarsi in assenza di vere malattie, esistono patologie che rimangono asintomatiche anche in fase avanzata. Inoltre, l’estrema variabilità dei sintomi nella stessa patologia, sia tra pazienti diversi che nello stesso paziente, è mediata da opinioni, credenze e aspetti cognitivi che, pur non avendo la capacità di generare sintomi, possono amplificarli, perpetuarli ed esacerbarli, rendendoli più rilevanti, nocivi e fastidiosi.
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