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NBM: in Umbria i primi passi nel percorso di riabilitazione

11 Marzo 2015 - di Redazione OMNINEWS

Una diffusa cultura multi-professionale, transdisciplinare e relazionale ha propiziato il percorso di medicina narrativa compiuto dalla ASL3 Umbria in ambito riabilitativo. Mauro Zampolini, direttore del Dipartimento di Riabilitazione e della S.C. di Neurologia presso l’Ospedale di Foligno, ci racconta questa esperienza 

In Umbria, e in particolare nella ASL3, esiste una consolidata rete di servizi riabilitativi sia in ambito ospedaliero che territoriale, sostenuti da percorsi formativi che privilegiano l’approccio clinico basato sulle evidenze e le strategie comunicativo-relazionali mirate al rapporto terapeuta-paziente. Negli anni scorsi sono stati fatte diverse esperienze formative e di studio sulla valutazione dell’outcome (esito, risultato) e sulla costruzione del progetto riabilitativo individuale, basato sulla classificazione del funzionamento e della disabilità ICF (International Classification of Functioning) prodotto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Questo modello è stato adottato perché supera il concetto di malattia per porre l’attenzione sulle capacità funzionali della persona in relazione con l’ambiente. Vengono, quindi, valutate le funzioni adattative ai vari modelli e contesti di riabilitazione. L’incontro tra percorsi formativi, pratica clinica e modelli riabilitativi si è dimostrato una solida base su cui costruire un laboratorio di medicina narrativa applicabile alla riabilitazione attraverso la classificazione ICF.

La rete riabilitativa regionale è composta da ospedali e strutture operative dedicati alla riabilitazione e una rete territoriale di supporto dedicata ai trattamenti in regime ambulatoriale e domiciliare. L’offerta riabilitativa dell’ASL3 è strutturata in una Unità di Neuroriabilitazione articolata in due poli territoriali (Foligno-Trevi) e due Unità di riabilitazione intensiva (Trevi-Cascia).

Dall’analisi dei bisogni degli operatori sanitari e dalle linee strategiche aziendali era emersa la richiesta di costruire dei percorsi formativi sulla comunicazione efficace e sulla relazione terapeutica. È stata quindi avviata una progettazione pluriennale per acquisire le giuste conoscenze e strumenti per adottare uno stile comunicativo efficace. L’opportunità formativa in medicina narrativa nasce da questi corsi, quasi come uno sviluppo naturale di competenze. Infatti, in fase iniziale, è stato realizzato un corso di medicina narrativa rivolto agli operatori del Dipartimento di riabilitazione che, più di altri, avevano manifestato questa esigenza.

La formazione ha permesso ai partecipanti di acquisire conoscenze generali sulla materia, i campi di applicabilità e le sperimentazioni più significative. A seguito di questo passaggio, che ha riguardato più di 60 professionisti dell’area riabilitazione, sono stati sviluppati ulteriori corsi di formazione per approfondire le tematiche e acquisire una metodologia sistematica e scientifica da impiegare nel proprio campo di intervento. I partecipanti hanno poi elaborato dei modelli operativi di medicina narrativa e sono state fatte esercitazioni di analisi del testo e di analisi del contenuto per imparare a interpretare “le storie”. In particolare i percorsi di formazione sono stati strutturati attraverso alcuni punti: analizzare la complementarietà e la possibile integrazione tra EBM e NBM nell’ambito dei servizi riabilitativi; costruire percorsi che prevedano la partecipazione attiva di pazienti e familiari/caregiver; formazioni con lezioni frontali e condivisione di casi ed esperienze; attivazione di laboratori per la costruzione di modelli operativi in lavori di gruppo; raccolta del materiale, condivisione delle esperienze e supervisione dei materiali prodotti con i docenti del corso; presentazione in plenaria attraverso una consensus conference.

Il laboratorio di medicina narrativa è stato articolato in attività di gruppo che hanno esaminato le definizioni ICF utili a identificare gli elementi chiave che potevano emergere dalle storie. Questo è stato identificato come un possibile ponte tra la narrazione (NBM) e la standardizzazione alla base della EBM. Un lavoro complesso con poca letteratura ed esperienze precedenti a cui fare riferimento e che ha prodotto alcuni schemi sintetici e tabelle di classificazione NBM-EBM che rappresentano i fattori ambientali (contesto e rapporto sociale), le attività e la partecipazione (impegno personale), e le funzioni corporee (salute fisica e mentale). Per queste ultime, da quanto si evidenzia dalle tabelle elaborate, NBM e EBM possono essere compatibili nell’ambito dello schema ICF. Infatti le funzioni corporee possono essere intese sia come elemento qualitativo sia come elemento quantitativo. L’attività e la partecipazione invece, pur essendo quantificabili con alcune scale, rappresentano una peculiarità dell’approccio narrativo così come i fattori ambientali.

Non tutti gli elementi emersi dalle storie dei pazienti e dei loro familiari erano identificabili in termini ICF. Infatti, questa classificazione non include gli elementi legati alla qualità della vita percepita e le aspettative delle persone. L’ICF è stato comunque utile a identificare gli elementi critici legati alla malattia e ha creato la base per strutturare i progetti riabilitativi individuali.

Di questa esperienza abbiamo parlato con Mauro Zampolini, neurologo, Direttore del Dipartimento di Riabilitazione della ASL 3 – Umbria e della S.C. di Neurologia presso l’Ospedale di Foligno. Ecco cosa ci ha raccontato:

Dottor Zampolini, al Congresso nazionale di medicina narrativa di Foligno ha presentato il progetto di integrazione tra EBM e NBM avvenuto all’interno della ASL3 e del Dipartimento di Riabilitazione da lei diretto. In questa sperimentazione avete utilizzato l’ICF per stabilire un linguaggio comune che ha permesso di estrarre dalla storia dei pazienti gli elementi importanti emersi in modo da usarli per il progetto riabilitativo. Ma l’integrazione con la medicina narrativa è veramente necessaria? Se sì, potrebbe fare degli esempi significativi provenienti dalla sua esperienza personale?

Un aspetto importante nell’approccio narrativo è quello dell’organizzazione di base del reparto: aperto, senza orari fissi di visita, e con un coinvolgimento dei pazienti e dei caregiver immediato, in particolare nel percorso riabilitativo, dove c’è un’attitudine all’ascolto da parte di tutto il personale, dai medici ai fisioterapisti. Questo è il quadro di partenza, quello minimo per tentare l’approccio narrativo. Un altro esempio è che non ci sono orari di colloquio tra i medici e i familiari, o tra i medici e il malato, perché tendiamo a organizzare gli incontri in maniera proattiva: convocando e facendo incontri formali dove il paziente e/o i familiari ci dicono qual è la loro visione della malattia e la loro prospettiva. Chiaramente siamo in un ambito soprattutto riabilitativo, quindi il progetto di vita deve essere tarato su quello che ci racconta il paziente. Il progetto è condiviso formalmente e viene poi riportato in cartella. I pazienti narrano qual era la storia prima della malattia, qual è il loro vissuto, e questo fa solitamente parte dell’attività di routine.

Nel nostro progetto abbiamo voluto strutturare in maniera sistematica questo approccio, attraverso colloqui formalizzati con pazienti e caregiver, traendo da questi, in maniera standardizzata, quelli che possono essere gli obiettivi del progetto riabilitativo, o del progetto di cura. Per fare questo abbiamo utilizzato l’ICF, che permette di standardizzare quelle che sono le storie dei pazienti, ricavandone gli elementi fondamentali e condivisi per poter poi strutturare un percorso di cura. Perché la disabilità, ad esempio,

può essere vissuta da ogni paziente in maniera diversa: per alcuni, ad esempio, è fondamentale tornare a camminare, mentre per altri è riuscire a parlare di nuovo bene. Quindi abbiamo tentato la sperimentazione per vedere se poteva essere una modalità valida per standardizzare la narrazione.

 

Quali sono i limiti dell’utilizzo dell’ICF per le pratiche di medicina narrativa?

Il problema è che questo aspetto funziona bene per la parte riabilitativa, ma se andiamo a mettere insieme altri punti fondamentali come la qualità di vita del paziente, o la sua propensione a riprogettare una vita, l’ICF non è in grado di aiutarci. Questo è un deficit che abbiamo rilevato nel corso del nostro lavoro. Noi stiamo comunque sperimentando l’ICF per cercare di tradurre anche l’approccio di storia del paziente. Abbiamo notato che l’attitudine all’ascolto per le storie ha di per sé un valore terapeutico, nel senso che alza la qualità percepita da parte dei caregiver e da parte dei pazienti (anche se quelli più gravi spesso non riescono a comunicarlo). L’approccio narrativo, infatti, diminuisce la conflittualità e migliora la percezione e l’elaborazione del lutto relativo alla patologia.

Medici, infermieri, fisioterapisti, dove trovano il tempo per ascoltare e poi elaborare tutti i racconti dei pazienti? Non c’è il rischio di intasare e impedire la già problematica efficienza delle strutture sanitarie creando ricadute per il personale e i pazienti stessi?

L’approccio narrativo non appesantisce l’attività clinica quotidiana, anzi, l’arricchisce. A volte può essere più difficile ma il nostro team capisce l’importanza di usare ed esercitare la NBM. I tempi possono dilatarsi se si applica l’approccio narrativo in maniera più sistematica e tradizionale, come una cartella parallela riempita con storie particolarmente dettagliate. È chiaro che questo poi implica un problema di tempo e di traduzione. Ora stiamo sperimentando un progetto europeo per vedere come implementare la narrazione nella cartella clinica attraverso la cartella parallela, ma, realisticamente parlando, bisogna ancora capire bene come farlo. Introdurre la cartella parallela sarà quindi il nostro passo successivo.

Dove trova maggiori difficoltà l’introduzione e la diffusione di una metodologia come la medicina narrativa all’interno delle organizzazioni sanitarie? Le critiche e lo scetticismo sono effettivamente in grado di impedirne la diffusione, o si tratta solo di lentezza burocratica e politica?

Come responsabile del dipartimento non ho trovato particolari difficoltà. Anche perché l’approccio narrativo migliora la qualità percepita della struttura e l’immagine che ne consegue è quindi di tipo positivo. Certo si riscontrano delle criticità muovendosi al di fuori del dipartimento, come mi successe tre anni fa, quando proposi il progetto al dipartimento di medicina. Qualcuno mi disse, comunque in modo ironico, che riuscivamo a integrare la medicina narrativa solo perché facendo riabilitazione avevamo del tempo da perdere per ascoltare i pazienti. Questo è l’atteggiamento medio da parte dei colleghi. Con la rianimazione, invece, abbiamo avuto un’esperienza positiva. Anche loro, infatti, hanno di recente implementato la NBM. Grazie al mio intervento poi, sono riuscito a convincere chi sta facendo il piano sanitario regionale a inserire una parte sulla necessità di introdurre la medicina narrativa in tutto l’ambito sanitario. Quindi la NBM sarà probabilmente buona parte integrante del futuro piano sanitario umbro.

L’intervista a è tratta da Medicina narrativa: un’inchiesta, tesi di Mattia Maccarone, Master in La scienza nella pratica giornalistica, A.A. 2013/2014, Facoltà di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali, SAPIENZA Università di Roma.

Tag: formazione, medicina narrativa, pratica clinica, riabilitazione

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