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Medici e pazienti, dove nasce il conflitto

27 Maggio 2019 - di Tiziana Amori

La cosa più stupida da dire a un malato è che lo si trova molto bene, che è una fissazione, che tutti stanno un po’ giù ecc. La cosa più triste, invece, è quando non te lo dicono più, anzi non sanno bene che dire. Solo i dottori trovano le parole per ingannarti, è questo che imparano all’università, e tu esci dallo studio sollevato ma appena arrivi all’ascensore ti rendi conto che sono balle a pagamento e fai la faccia di Bob Hope quando scopre uno scheletro nell’armadio: lo richiude subito come se niente fosse ma due minuti dopo urla per lo spavento….” (da “L’ultima estate” di Cesarina Vighy). Qualche frase da un romanzo, un lungo racconto di una persona, Z., gravemente malata: è un racconto allegro, sapiente, condotto quasi con leggerezza. Compaiono qua e là le parole dei medici, le terapie, i farmaci: compaiono, perché, ormai, sono necessari solo per contenere il dolore. I medici, in quel momento, fanno parte di coloro che ascoltano le tue parole oppure ti danno la loro voce per raccontarti o le loro mani per scrivere, perché il dolore è meno disperato se può essere narrato.

Cominciamo da qui: dal punto in cui anche il potere medico o l’egemonia medica, come la chiameremo più avanti, cessa, viene sospesa e comincia un’altra storia. In questo intervento, analizzeremo, seppure sinteticamente, la retorica della relazione medico-paziente e ne evidenzieremo i “pilastri”, le strutture portanti di quella che, ancora oggi, possiamo definire l’egemonia medica.

Friedson, le 4 strategie della dominanza medica

L’interazionista Eliot Friedson sostiene che ai medici, a differenza di altre categorie di professionisti, viene attribuita una forte responsabilità e autonomia professionale, configurando quattro forme di dominanza medica. A queste quattro forme corrispondono altrettante strategie e retoriche professionali, utilizzate dai medici per differenziare il loro ruolo da quello di altre professioni.

La prima è la dominanza funzionale, basata sul monopolio dei medici sulle funzioni del processo di cura: dalla diagnosi alla scelta della terapia. Poi c’è la dominanza gerarchica, fondata sulla divisione verticale del lavoro, specie all’interno degli ospedali. E ancora, la dominanza scientifica, derivante dal potere medico di definire ambiti e competenze della medicina in quanto scienza. Infine, la dominanza istituzionale, che fa riferimento alla massiccia presenza di medici nelle commissioni abilitative di molte occupazioni sanitarie, nei corpi docenti, nelle istituzioni centrali di ogni professione.

D’altronde, come dice Freidson, “è il potere dello stato che concede alle professioni il diritto esclusivo di usare o valutare  un insieme di conoscenze e abilità e una volta ottenuto questo diritto la professione acquisisce potere”. Ed è proprio questo che instaura nei medici la sicurezza nel richiedere una fiducia incondizionata da parte dei pazienti. “Fiducia basata sull’assioma riguardo alla volontà e alla loro coscienza di fare del bene al malato e che ne abbiano le competenze necessarie convalidate dalla scienza.”

Nel rapporto medico-paziente si riflettono quindi i condizionamenti sociali che scaturiscono dalle reti  istituzionali e dalle culture da parte di ambedue. Quindi, da una parte i medici  e le loro organizzazioni professionali e, dall’altra, i pazienti con le loro reti simboliche e sociali. Tanto più i due sistemi di riferimento sono lontani, tanto più il rapporto definisce un conflitto medico-paziente. Per  i medici è necessario, quindi, rendere egemone la propria posizione e il proprio modo di leggere la realtà. La strategia della dominanza medica ha concorso alla nascita di un sistema fortemente stratificato. Questo sistema ruota attorno al lavoro dei medici, che spesso godono di prestigio maggiore rispetto a quello attribuito dalla società alle altre professioni. 

Illich: la medicina che ammala

In accordo con Friedson, troviamo Ivan Illich. Negli anni Settanta (quando la sua era una voce decisamente fuori dal coro e questo non fa che aggiungere fascino alla lettura dei suoi scritti) scriveva che l’ideologia del profitto a ogni costo, la professionalizzazione e l’iperspecializzazione della medicina, il potere delle multinazionali farmaceutiche e la diffusione di una tecnologia abnorme  hanno trasformato i sistemi sanitari in minacce alla salute dei cittadini, privati della capacità di salvaguardarsi la salute. E mirano a escludere del tutto la possibilità di una reale prevenzione e la libertà di scelta terapeutica.

Il pregio maggiore delle analisi fatte da Illich – e il motivo per cui lo cito in questo caso – non sta tanto nell’originalità quanto nell’attualità.  Il beneficiario della polemica di Illich non è il corpo medico ma l’utente, o meglio l’insieme dei cittadini consumatori, ai quali viene dimostrata la miseria che si nasconde in ciò che riluce nelle tecnologie mediche. Il messaggio è finalizzato ad una presa di coscienza, da parte dei cittadini, di ciò che la medicina dà loro e di ciò che toglie, facendo promesse che non può mantenere. 

In Nemesi medica Ivan Illich propone una riflessione radicale sulla medicina e sull’estensione del suo potere sulla società. Era già radicale trent’anni fa, quando il libro fu pubblicato per la prima volta, e in parte lo è ancora oggi, in un’epoca in cui le considerazioni di Illich sembrano avere trovato molte conferme. Il saggio si apre con un’affermazione che pare sconcertante: “La corporazione medica è diventata una grande minaccia per la salute”. Per Illich la medicina provoca non solo essa stessa la malattia (iatrogenesi) ma diventa una macchina per creare consumatori incapaci di avere consapevolezza e saper autogestire la propria salute.. 

Essa infatti produce di continuo nuovi bisogni terapeutici e via via che l’offerta di sanità aumenta si generano nuovi problemi e malattie. Illich si batté contro il sistema ospedaliero (famosa la statistica con cui mostrò che, in seguito a uno sciopero ospedaliero in Francia, senza medici c’era stata una sensibile diminuzione di decessi) e l’ossessione della salute perfetta. 

Iatrogenesi a tre dimensioni

Per Illich ci sono tre tipi di iatrogenesi: quella clinica, quella sociale e quella culturale. Nel primo caso, l’autore sottolinea come le cure mediche, lungi dal guarire l’individuo dalla malattia, funzionino a loro volta da agenti patogeni. Spesso, infatti, sono farmaci, medici e ospedali a causare malattie di vario tipo, ancora più di batteri, virus o altre cause note. La iatrogenesi clinica è costituita dagli effetti collaterali della terapia per cui dolore, malattia e morte diventano il risultato delle cure mediche, non più una tappa del percorso di guarigione. La spersonalizzazione della terapia e l’uso della tecnologia in campo medico trasformano la mala pratica, purtroppo sempre più frequente, da problema etico in problema tecnico.

La seconda iatrogenesi, sul piano sociale, si manifesta attraverso i sintomi di supermedicalizzazione, quando la cura della salute si tramuta in un articolo standardizzato, come se fosse un prodotto industriale. E stabilisce inoltre che cosa è “deviante” rispetto al concetto di salute. A questo livello la medicina si arroga l’autorità e la pretesa di stabilire che cosa è la malattia e chi è il malato.

La iatrogenesi culturale infine “distrugge nella gente la volontà di soffrire la propria condizione reale”. La civiltà medica ha ridotto il dolore a problema tecnico e lo ha privato del significato personale, trattandolo allo stesso modo per tutti. Invece il dolore è il sintomo di un confronto con la realtà e non può essere “oggettivamente misurabile”. L’uomo occidentale, secondo Illich, ha perso anche il diritto di presiedere all’atto di morire e viene espropriato della libertà di scelta su di sé e sulla propria salute. (Esempi con il testamento biologico, o l’eutanasia). 

La necessità di un cambiamento

E’ evidente quanto la tesi di Illich sia di grande attualità con le dovute contestualizzazioni, e che un cambiamento nelle politiche organizzative e nell’atteggiamento medico e sanitario più in generale, sia oggi quanto mai necessario. Penso ancora che esista la iatrogenicità della medicina, ma se negli ultimi anni è cresciuto l’interesse per approcci diversi di cura (come la medicina narrativa) evidentemente qualcosa sta cambiando.

Crediamo che questi i costrutti, dominanza medica e iatrogenesi, abbiano forti analogie e siano composte, di fatto, dalle stesse strutture retoriche:

  • il concetto di professione
  • la conflittualità a somma zero (sovente fondata sulla logica “mors tua vita mea” o vinca il più forte) tra medico-paziente
  • una falsa cultura dell’efficienza (vs. una cultura della cura)

La professione del medico oggi

Il termine “professione” viene spesso usato per indicare una qualunque occupazione lavorativa.  Le professioni sono, in effetti, attività ad alto contenuto intellettuale, che mirano a usare la conoscenza scientifica o tecnica per creare applicazioni capaci di risolvere questioni e problemi legati alle attività umane. I professionisti rappresentano sempre più nodi vitali di una struttura organizzativa. A loro, è infatti richiesto di prendersi carico della missione o di una parte di essa, degli obiettivi e delle sfide dell’impresa all’interno della quale si collocano.

Un tempo l’organizzazione era stabile, rigida, basata sulla parcellizzazione e specializzazione del lavoro, standardizzazione delle attività produttive e pervasività delle procedure di gestione e controllo. Il passaggio alla società post-industriale, lo sviluppo delle tecnologie informatiche, l’emergenza del modello a rete rappresentano i punti critici di un processo evolutivo che spinge le organizzazioni post-moderne verso configurazioni flessibili e nuovi ruoli professionali. Alcuni autori avanzano l’ipotesi se sia individuabile una sequenza comune di fasi attraverso cui siano transitate tutte le professioni. È con Weber che nasce una nuova corrente interpretativa che va ad analizzare le professioni in quanto gruppi sociali organizzati dotati di competenza esclusiva di un dato mercato, controllo su altre occupazioni, del potere di definire i bisogni del consumatore e il modo di provvedervi.

Il managerialismo e la perdita di centralità del medico

 A partire dagli anni Novanta, il dibattito sul processo di professionalizzazione si è arricchito di un’altra tendenza – la cosiddetta managerialità. Questo sistema ha portato a gestire le strutture pubbliche facendo anche in esse sempre più ricorso  all’adozione di metodi e strumenti di governo e gestione organizzativa di tipo privatistico ispirate al cosiddetto new management. Nel settore sanitario, il new Public Management si è tradotto principalmente nella trasformazione delle organizzazioni sanitarie nelle cosiddette aziende: queste, pur mantenendo la gestione pubblica, operano secondo sistemi e criteri di tipo privatistico.

L’impatto del managerialismo, impatto visibile sull’intero spettro delle forme della vita organizzativa di tali aziende, sembra incidere fortemente sull’autonomia di alcune categorie (i medici in primis). Questo perché tende a rompere le giurisdizioni e le identità professionali, andando a riassegnare i compiti in base ad una logica prevalentemente fondata sull’efficienza. 

Nell’ambito specifico della sanità, la governance richiede nuove forme di partnership tra la pubblica amministrazione e i soggetti sociali per produrre insieme le politiche sanitarie. Quando le organizzazioni sanitarie hanno scelto di diventare “aziende” hanno giustamente pensato alla propria organizzazione come quella di una azienda, ponendo ai vertici “manager” ai quali non sempre veniva  richiesta una competenza clinica.

Tutto questo ha creato e crea malcontento e spesso demotivazione da parte dei medici. Questi ultimi, sentendosi schiacciati da politici e amministratori che dirigono, percepiscono la perdita della centralità dell’operare medico. L’esercizio della medicina, infatti, presuppone il riconoscimento al medico del potere di curare. Questa perdita di centralità della professione di cura viene, nei fatti, colmata e sostituita dalle logica efficientista ed economica (del denaro). Il problema della sanità pubblica non è solo il “managerialismo”, ma l’abuso corruttivo da parte del mondo politico e degli amministratori pubblici, che precede la svolta “manageriale”!

Conflittualità nella relazione medico-paziente

L’egemonia di un sapere separato è anche messa in crisi dal crescente accesso alle fonti del sapere medico da parte del paziente. Basta pensare alla ricerca su internet di informazioni su diagnosi e trattamenti, e ai pazienti sempre più preparati su patologie ed eventuali terapie, tanto da mettere in crisi i medici. I quali, di fronte a questa nuova figura di paziente “super-informato”, avvertono una sensazione di “disagio”.

I pazienti sono divenuti sempre più istruiti e informati e il medico si è visto più o meno costretto a svestire i panni del dottore inteso come unico possessore di conoscenze superiori e non condivisibili. Per gli italiani (oltre il 25%) è il web la fonte primaria di informazione in campo sanitario. Forti delle nuove conoscenze, i cittadini cercano dunque un rapporto più paritario e consapevole con il medico. Si delinea così uno scenario di potenziale conflittualità e un cambiamento nella relazione medico-paziente.

Un nuovo rapporto medico-paziente

In questo panorama si registra, da una parte, il disagio dei medici, che guardano con preoccupazione alle istanze di autonomia decisionale dei pazienti e denunciano spesso una frustrazione per lo svilimento della propria professione. Dall’altra parte, ci sono i pazienti che valutano con crescente preoccupazione l’eventualità di errori sanitari. A questo si aggiungono i dati sulla frequenza di richiesta di secondi pareri, sulla incidenza di utilizzo di terapie “alternative” associate a quelle prescritte dalla medicina tradizionale, e così via. E anche il crescente ricorso a denunce e richieste di indennizzo nei confronti di medici e ospedali è forse un segno di una ridefinizione del rapporto di potere tra paziente-cittadino e medico/istituzioni. 

Possiamo analizzare il problema su due fronti: un fronte è quello dell’ordine simbolico dell’organizzazione e l’altro riguarda le performance dello specialista nella relazione medico-paziente. Lo scenario è diviso fra l’identità organizzativa e i codici comportamentali condivisi da medici e infermieri. Fra le modalità di gestione della cura (qualità, efficienza, efficacia dei servizi sanitari erogati) e la soddisfazione del paziente ospedalizzato, protagonista attivo all’interno di un progetto  diagnostico/terapeutico progettato, concordato e condiviso.

L’ospedale-azienda e il paziente-cliente

Aziendalizzazione e ipercontrollo amministrativo attivano le dinamiche del cambiamento, orientano l’azione organizzativa, rimodellano le identità coinvolte nel momento in cui si introducono tecniche di gestione aziendalistiche. Queste tecniche, non di rado, impoveriscono le competenze professionali, subordinandole a forme di gestione e controllo esterne all’essenza della professione di cura. Vengono così attribuiti differenti significati intorno al bene comune salute, costruendo nuove identità. Il paziente si fa cliente, l’ospedale diventa azienda ospedaliera e il Direttore Generale dell’Asl si trasforma in un manager che indirizza e controlla i processi aziendali. 

I principi guida dell’Azienda ridefiniscono il modus operandi delle organizzazioni sanitarie in termini di efficienza, economicità, direzione per obiettivi, meritocrazia. Questi principi esaltano un approccio tecnocratico e non prevedono, come appare ovvio in questa impostazione, strumenti di attribuzione di potere effettivo dell’utenza nei processi di valutazione finale dell’impatto delle politiche per la salute.  

Cambiare retorica, linguaggio parole

Si genera così una falsa cultura (o falsa coscienza?) dell’efficienza che si sostituisce alla cultura del mestiere e della cura. La figura del medico diventa dominante nella misura in cui una società  enfatizza l’attivismo, il successo e l’impegno personale, l’efficienza.  

Ci troviamo di fronte ad una  medicina fondata sulla efficienza della distribuzione delle prestazioni e sulla difesa del diritto di accesso universale alle risorse sanitarie, più che sul senso della cura per il singolo cittadino. Ci troviamo di fronte ad una manipolazione soprattutto da parte dei poteri forti, delle case farmaceutiche, della casta, che, volente o nolente, insieme alle grandi multinazionali  (Ivan Illich ne fa già menzione nei suoi scritti) diventa parte integrante della gestione.

Da Illich a Friedson, ci sono alcuni cambiamenti sociali che comportano una visione ancora iatrogenica del medico e della medicina e che intervengono nella crisi e nei cambiamenti anche nella relazione medico-paziente. Questi cambiamenti sono:

  • Iperspecializzazione del sapere e della prassi medica (il cui risvolto negativo è la spersonalizzazione del rapporto medico-paziente e la  riduzione del malato alla sua patologia)
  • Pervasiva “tecnologizzazione” della medicina moderna
  • Aziendalizzazione 
  •  Movimenti dei pazienti e diritto alla salute
  • Diffusione dell’informazione biomedica di massa
  • Espansione del processo di medicalizzazione
  • Crisi di sostenibilità del welfare sanitario

Molti oggi si chiedono nel mondo se vi sia un altro “teatro della cura”, dove sia possibile il dialogo medico-paziente, con uno scambio e un ascolto. Queste opportunità potrebbero creare le condizioni per poter mettere in campo risorse di medico, della persona sofferente e del contesto di cura. Tutte risorse che intervengano e pesino nel processo di cura fino a trasformarlo, arricchirlo, anche integrando (a volte sostituendo) l’azione dei farmaci e della terapia “sanitarizzata”.

Per fare questo, cioè per scoprire nuove risorse e attivarle, è necessario introdurre un’altra retorica della cura, un diverso ordine simbolico, un linguaggio e un lessico che siano in grado di dare una nuova struttura alla relazione medico-paziente.

L’autrice del testo, Tiziana Amori, è sociologa e docente all’Università degli Studi di Tor Vergata a Roma.

Tag: comunicazione medico-paziente, medicina narrativa

Commenti

  1. Sandra Pellegrini​​ dice

    29 Maggio 2019 alle 22:17

    Analisi impeccabile e profonda.
    L ospedale “azienda” , la conseguente corruzione introdotta dalle lottizzazioni politiche, e la nascita del paziente “cliente” , hanno dato vita a relazioni medico-paziente spesso mostruose, nonchè alla creazione di luoghi in cui, paradossalmente, “la cura” è assente.

    Rispondi
  2. Simona gadparetti dice

    30 Maggio 2019 alle 10:31

    Cara Tiziana, grazie di avermi mandato il tuo articolo. L’ho letto con grande interesse e partecipazione. Mi sono ritrovata perfettamente nelle tue parole, emerse oltre che dallo studio anche dall’esperienza vissuta.

    Rispondi
  3. roberta andreani dice

    25 Giugno 2019 alle 9:48

    Cara Tiziana, mi sono ritrovata in pieno in ciò che hai scritto.
    Nel mio piccolo mi sono trovata anch’io a gestire la relazione tra medico e paziente e a non sentirmi a mio agio proprio perchè non ero considerata una persona ma una statistica.
    Hai avuto la capacità di dirlo in modo chiaro e profondo. Non avrei saputo esprimerlo meglio. Si vede che è il frutto di studio e di una lunga riflessione.

    Rispondi
  4. Tiziano Scarponi dice

    12 Luglio 2019 alle 16:06

    Bellissimo articolo. Certo sarebbe interessante poter leggere un seguito, in quanto occorrerebbe non solo indicare che esista un altro “teatro dell cura”, ma come realizzarlo e metterlo in pratica. La medicina narrativa considerata come è adesso uno “strumento” della EBM potrebbe esserne all’altezza?
    Oppure si deve affrontare il problema delle “questione medica” secondo le indicazioni di Ivan Cavicchi?

    Rispondi
  5. Giorgio Bonifazi Razzanti dice

    5 Agosto 2019 alle 10:23

    Lucida analisi dello stato dell’arte della professione medica e delle deformazioni del sistema sanitario. Ancora più importante la riconsiderazione dell’idea di malattia tanto dal punto di vista del paziente quanto da quello del medico. Da meditare con la mente libera da schemi e pregiudizi.

    Rispondi

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