Gli atteggiamenti discriminatori sono argomento di pertinenza etica e morale, ma anche clinica. Secondo un articolo del New York Times, scritto da un medico del Massachusetts General Hospital, docente presso la Harvard Medical School, le discriminazioni possono avere importanti conseguenze sulla salute degli individui che le subiscono nonché ripercussioni a livello collettivo, in ambito di salute pubblica (vedi).
Molto prima che Martin Luther King definisse le diseguaglianze nella salute come “la più scioccante e disumana forma di ingiustizia”, scrive l’autore, lo storico e attivista per i diritti civili W.E.B. Du Bois (1868-1963) rilevava che il tasso di mortalità e di incidenza delle malattie nella popolazione di colore era in massima parte determinato dalle condizioni materiali in cui viveva, e non da specifici “tratti razziali”. Prima ancora di Du Bois, il primo medico di colore della storia statunitense, James McCune Smith (1813-1865), aveva dedicato un’approfondita analisi alle conseguenze della libertà e dell’oppressione sullo stato di salute, fisica e mentale (vedi).
Questi uomini, dice l’articolo, hanno messo a fuoco un dato che ricercatori e referenti politici spesso non esplicitano: la discriminazione, soprattutto quando è perpetrata in forma cronica, danneggia la mente così come il corpo. “Il modo in cui ci trattiamo, e il modo in cui le istituzioni ci trattano, hanno delle conseguenze sulle nostre vite, sia in termini di durata che di qualità”.
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