Per un malato cronico, la patologia è anche una esperienza di vita. Con la quale convive ogni giorno. Perché misura e determina il ritmo dell’esistenza, i tempi, gli spazi, i movimenti, le relazioni sociali, le situazioni di lavoro, i rapporti affettivi. La malattia cronica è essenzialmente perdita della propria libertà: non si può decidere di fare un viaggio, di andare in vacanza, di organizzare un incontro, di prendere un appuntamento, di pranzare fuori casa, senza fare i conti con “lei”, la malattia. Come racconta nel suo libro Simone Pieranni, intitolato “Settantadue” (Edizioni Alegre), un misto di realtà e fiction nel quale prevale però il suo vissuto: “Ammettendo anche che vada tutto bene, è innegabile rientrare in un meccanismo puramente statistico di abbassamento delle probabilità di sopravvivenza….Da questa constatazione ne deriva un’altra, sempre puramente numerica: quattro ore ogni volta per tre volte alla settimana, fanno dodici ore alla settimana, quarantotto al mese, ovvero cinquecentosettantasei ore all’anno. Io sono in dialisi da tre anni: milllesettecentoventotto ore. Ovvero, diviso ventiquattr’ore, settantadue giorni completi di dialisi…”.
Un’appassionata testimonianza che contabilizza perfino l’incidenza quantitativa del male. Ma se, come sappiamo, il tempo è denaro, la salute, individuale e collettiva, viene condizionata in modo determinante, invasivo, perfino brutale. Ed è proprio qui che si inserisce l’economia, incidendo sulla qualità e sulla quantità delle prestazioni sanitarie ai cittadini. Perciò quando l’economia detta legge, la prima vittima preferita diventa la cosiddetta “centralità del malato”. Conosco molto bene la “medicina narrativa” – che sta però diventando una moda, con sostenitori dell’ultima ora, relatori pagati dalle multinazionali, società che nascono ad hoc (anche se non mancano situazioni interessanti: all’Ospedale di Biella sono nati laboratori di “digital storytelling” per i ricoverati), tuttavia neppure serve evocarla per comprendere una cosa alquanto semplice: il paziente e il medico che si abbandonano alla routine della malattia, otterranno minori risultati. In termini di cura, di guarigione.
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