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Io speriamo che me la cavo: la medicina narrativa in pediatria

24 Settembre 2019 - di Viola Rita

La medicina narrativa può per rendere più efficace il rapporto tra medico e paziente, migliorando vissuti ed esiti di cura in qualsiasi ambito clinico. Anche e soprattutto quando il paziente è bambino e il rapporto terapeutico è in qualche modo mediato dai genitori. In questi casi, un racconto, un disegno o un fumetto possono rivelare al pediatra come il piccolo vive la malattia e le cure: emozioni, paure, speranze e anche, come spesso accade, una forza e una positività a volte sconosciute agli stessi familiari. “La possibilità di narrarsi è utile per il pediatra, per il piccolo paziente e per i genitori o i caregiver”, dice Paola Chesi, ricercatrice di Fondazione Istud che ha illustrato le possibilità offerte dalla medicina narrativa in ambito pediatrico in un recente seminario organizzato dalla Società Italiana di Medicina Narrativa – Simen a Milano. Con lei abbiamo fatto il punto per capire come è possibile utilizzare la medicina narrativa in pediatria e quali vantaggi può portare.

Dottoressa Chesi, a cosa serve la medicina narrativa in pediatria ?

La possibilità di raccontare se stessi, la propria malattia e il rapporto con essa è fondamentale anche e soprattutto in età infantile e adolescenziale. Attraverso la narrazione, ad esempio la scrittura di brevi testi, fiabe o fumetti, emergono aspetti della persona, come affronta la patologia e il percorso terapeutico, che con il tradizionale colloquio, mediato dalla presenza dei genitori, non verrebbero rilevati. Questo può aiutare sia il medico sia i genitori a capire meglio come relazionarsi con il bambino o con il ragazzo per coinvolgerlo attivamente, renderlo più collaborativo.

Quali strumenti narrativi si possono utilizzare?

Abbiamo condotto alcuni progetti di medicina narrativa in pediatria che riguardavano soprattutto malattie croniche o rare. I bambini e i ragazzi coinvolti venivano invitati a scrivere brevi testi in varie forme. In alcuni casi si presentavano dei fumetti solo con disegni e il bambino o il ragazzo poteva riempire le nuvolette lasciate appositamente vuote, facendo parlare i personaggi. Oppure si forniva un’immagine e si chiedeva, a partire dalla figura, di scrivere qualcosa, o ancora si partiva da una fiaba in cui il protagonista era il bambino, che poteva proseguire la storia a suo piacere. Il tutto calibrato sulle diverse età e con lo scopo di far raccontare qualcosa di sé e della propria malattia.

E’ difficile coinvolgere i piccoli pazienti?

Le principali difficoltà, in questo caso, riguardano la fascia adolescenziale, dato che i ragazzi a quell’età sono ribelli e a volte rifiutano di rispondere a stimoli e sollecitazioni esterne. In questi casi è bene non forzare il ragazzo e lasciare la massima libertà di espressione con i tempi e le modalità a lui più consoni.

Funziona questo approccio?

In alcuni progetti, soprattutto nell’ambito di patologie croniche o malattie rare, condotti insieme a varie istituzioni in diverse realtà ospedaliere e sanitarie italiane, abbiamo potuto osservare che la possibilità di narrarsi è utile in generale: per il pediatra, per il piccolo paziente e per i genitori o i caregiver. L’obiettivo fondamentale è quello di riuscire a rendere partecipe il bambino o il ragazzo, che di solito è un attore passivo, nel percorso di cura. In altre parole si passa da un rapporto a due, quale quello fra pediatra e genitori, a un rapporto a tre, dove c’è anche il bambino.

Perché questo è importante?

Perché così anche lui riesce a esprimere le sue necessità, che finalmente emergono e vengono considerate e valutate dai genitori e dal pediatra. Questo serve a coinvolgerlo e responsabilizzarlo nel percorso di cura, anche per migliorare l’aderenza alle terapie. Basti pensare a malattie croniche, come il diabete infantile, in cui il bambino deve assumere farmaci e seguire trattamenti regolari e ripetuti durante il giorno, e a volte il rischio è che soprattutto se non è sufficientemente partecipe non riesce a seguire la cura in maniera ottimale.

Qual è un progetto di medicina narrativa in pediatria da voi condotto?

Un esempio è il progetto CRESCERE (Creare con Racconti di ESperienze di Cura l’Empowerment), cui hanno preso parte 13 enti di ricerca, fra università e ospedali. L’iniziativa ha permesso di raccogliere le storie di bambini e ragazzi con deficit di ormone della crescita, dei loro nuclei famigliari e del personale medico-sanitario che li ha in cura. L’obiettivo era conoscere ed illustrare il vissuto di chi vive direttamente tale condizione e di chi sta loro vicino, comprenderne i bisogni e le aspettative, per individuare le esperienze di buone pratiche e gli spazi di intervento utili a migliorare l’organizzazione dei percorsi di cura dedicati.

Cosa è emerso dai racconti dei bambini?

Spesso si scopre una grande forza e positività, a volte sconosciuta agli stessi genitori. Questi giovanissimi pazienti, sentono e mostrano poter affrontare la malattia. Far emergere anche questi aspetti, oltre alle emozioni negative e alla paura legata al dolore e alle cure, è importante per il bambino, per aumentare la consapevolezza delle sue risorse e valorizzarle. E in ultimo, di rafforzare la sua autostima, soprattutto in un momento difficile come quello della malattia.

In che modo la medicina narrativa può essere utile anche al pediatra?

In primo luogo perché ha modo di conoscere meglio il suo paziente e le sue esigenze di cura. E poi, non secondario, perché ha la possibilità di usare gli strumenti narrativi in prima persona, per esprimere il suo stato d’animo in relazione alla presa in carico e alla gestione dei pazienti: un esercizio benefico, utile ad elaborare a livello cognitivo ed emotivo il proprio vissuto, le proprie frustrazioni e altre forme di stress che affliggono la categoria e che sono causa di burnout. In questo caso, una delle problematiche frequenti consiste nella resistenza del professionista ad essere coinvolto appieno. Questo perché non ha mai avuto occasione, sia durante la formazione sia nella pratica clinica, di poter far emergere le proprie emozioni e le possibili difficoltà personali nel rapporto col paziente, all’interno di una professione complessa e ad alto coinvolgimento emotivo.

Tag: malattie croniche, malattie rare, medicina narrativa, pediatria

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