“La medicina narrativa. I presupposti, le applicazioni, le prospettive” è il titolo di un volume pubblicato recentemente dalla casa editrice torinese Effatà nella Collana «Studi bioetici» diretta da Giorgio Palestro, presidente del Centro Cattolico di Bioetica dell’Arcidiocesi di Torino. Pubblichiamo qui uno stralcio dell’introduzione firmata dai due curatori del volume: Enrico Larghero, medico e teologo morale, responsabile del Master Universitario di Bioetica della Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale – Sezione di Torino, Mariella Lombardi Ricci, professore incaricato di Bioetica presso la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale – Sezione di Torino.
In un contesto di reti informatiche, di network, di infiniti “contatti”, di sovraesposizione mediatica, può apparire fuori luogo ed anacronistico che si lamenti da più parti una carenza di comunicazione e di corretta informazione in ambito sanitario. Tuttavia è ciò che avviene. Non sempre una sovrabbondanza di notizie significa sapere, acquisire nuove nozioni, relazionarsi. Anzi talvolta avviene il contrario. Paradossalmente – scrive Giorgio Cosmacini – più la tecnologia si raffina, più l’obiettivo della guarigione completa si allontana, più il medico deve potenziare l’efficacia del rapporto antropologico fra se stesso e il malato (La qualità del tuo medico, per una filosofia della medicina, Laterza, Roma-Bari 1995).
Nella società globalizzata si assiste infatti ad un vuoto, ad una povertà ed aridità di rapporti, di valori condivisi e questo clima condiziona inevitabilmente anche il mondo sanitario. La conseguenza immediata è rappresentata da un lato dal superamento del paternalismo ippocratico e dall’altro dalla piena affermazione del principio di autonomia del malato. Tutto ciò ha modificato profondamente il rapporto tra operatore sanitario e paziente, minando alla sua radice tale relazione.
È strano – ha affermato Karl Jaspers – che in contrasto con le straordinarie capacità operative della medicina moderna, sia emersa non di rado una sensazione di fallimento. Le scoperte delle scienze naturali e della medicina hanno portato ad una competenza senza precedenti. Ma è come se per la massa delle persone ammalate sia divenuto, per ognuna di esse, più difficile trovare il medico giusto. Verrebbe da pensare che, proprio mentre la tecnica va continuamente migliorando le proprie capacità, i buoni medici si siano fatti rari (Il medico nell’età della tecnica, Milano 1991). «L’arte dimenticata del comunicare diventa un problema di rilevanza clinica, perché si può creare una pericolosa confusione di linguaggi, in quanto ognuno parla una lingua che non è capita ed è apparentemente incomprensibile all’altro», come affermava Balint (La comunicazione in medicina, Mediserve, Milano 2004).
Numerosi studi scientifici hanno rilevato che il disagio del paziente per la cattiva comunicazione ha un peso di gran lunga superiore a qualsiasi altra insoddisfazione circa le competenze tecniche (La comunicazione della diagnosi, Milano 2003). Tuttavia ancora oggi nell’incontro tra medico e paziente, tra emittente e ricevente come sostengono gli esperti del settore, si stabilisce un pathos, vi sono dei richiami, delle rispondenze reciproche, nei confronti delle quali nessuno si dimostra inerte, passivo, ma, in forma diversa, dona e riceve. Da ciò la necessità e l’urgenza di mettere in atto un lungo e complesso percorso di umanizzazione della medicina che passi anche inevitabilmente dalla comunicazione, presupposto indispensabile per rifondare un rapporto autentico e fecondo tra operatori sanitari, e tra questi e i pazienti.
La medicina narrativa da una prospettiva cattolicaConsenso informato, obbligo di dire la verità, testamento biologico, sono temi di grande attualità, strumenti che non risolvono però il processo relazionale, lo traslano soltanto di livello, ponendolo cioè sul piano giuridico ed allontanandolo in tal modo dal cuore pulsante dello scambio interpersonale, del do ut des, scevro da obblighi ed incombenze burocratico-legali. L’etimologia del termine comunicazione deriva dal latino cum, insieme, e munus, dono, cioè stare insieme e racchiude in sé il senso più profondo ed autentico dell’arte medica. Umanizzazione è sinonimo di relazione interpersonale, nella quale due esseri umani, a prescindere dai loro ruoli, entrano in sinergia tra loro ed intraprendono un cammino di fiducia (V. M. Borella, La comunicazione medico/sanitaria, Franco Angeli, Milano 2004).
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Rifondare la comunicazione sui valori e sul senso rappresenta la sfida più importante per la medicina del futuro. Ciò non significa però apprendere soltanto nuove nozioni, strumenti, informazioni che, seppur validi, si muovono sul piano della forma, ma acquisire oltre ai contenuti, quella sensibilità, empatia, reciprocità, di cui ovunque si avverte fortemente la mancanza (I. Cavicchi, La clinica e la relazione, Bollati Boringhieri, Torino 2004). Un autentico progresso tecno-scientifico non può inaridire i rapporti interpersonali, rinnegare reciprocità, dono e comunione. Tali elementi conferiscono invece un valore ulteriore, devono ridiventare una parte irrinunciabile del bagaglio professionale di ogni operatore sanitario, in quanto costituiscono un aspetto non secondario del piano terapeutico, anzi forse ne sono l’essenza.
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