di Mauro Zampolini
La passione per le moto, la velocità ai limiti della follia, la documentazione fotografica, i record di sollevamento pesi e la cultura del corpo, la dipendenza da droghe allucinogene, le scalate pericolose alla ricerca dei propri limiti, le nuotate ossessive e rilassanti al contempo. E’ un Oliver Sacks che non ci saremmo mai immaginati, un eroe romantico e moderno a metà tra un personaggio di Hermann Hesse e uno di Jack Kerouac, quello che rivela “In movimento”, edizione italiana dell’autobiografia dello studioso di recente scomparso (Adephi 2015).
Leggendo i suoi libri, immaginavamo una vita spesa sempre immerso negli studi, curvo sul desco ad approfondire le sue osservazioni cliniche. Sacks invece ci parla di uno studente sempre alla ricerca di quel qualcos’altro che la medicina tradizionale, la fisiologia tradizionale non riesce a dipingere sul quadro della natura umana. È proprio qui che lo studente brillante lascia spazio alla sua contraddizione, il destino di dover fare il medico come i suoi genitori e l’esigenza di scavare dentro se stesso per capire l’altro. In questo, il giovane Oliver ricorda il protagonista di “Sotto la ruota”, romanzo di formazione di Hermann Hesse: uno studente che, preso negli ingranaggi dei suoi doveri, cerca di uscirne alla ricerca di se stesso, e lo fa attraverso nuotate liberatorie, in cui l’acqua pulisce la corazza dell’anima. Allo stesso modo, Oliver nuotando in fiumi, laghi, mari trova ispirazione per la scrittura. L’immagine del taccuino bagnato sulla riva che raccoglie l’immediatezza dei pensieri generati dall’acqua racconta molto della narrativa dell’autore, il personaggio diventa persona.
È proprio la scrittura ossessiva, il rivedere i testi decine e decine di volte cambiandoli, adattandoli, che testimonia le difficoltà di cristallizzare, dare una forma al pensiero generato dal proprio inconscio, di esprimere attraverso una sintassi letteraria le pulsioni profonde dell’anima. La revisione reiterata dei testi ci mostra la scrittura, la narrazione in un continuo divenire che quasi si adatta al divenire della vita. Anche la sua omosessualità, svelata con una narrazione naturale, ci riporta al buio della repressione omofoba degli anni ’50, quella che in Inghilterra costrinse Alan Turing al suicidio. Per evitarla, Sacks deve emigrare, per brevi periodi, in Olanda.
Si profila quindi una figura ribelle, alternativa rispetto ai dettami della sua epoca e che, secondo i nostri stereotipi, penseremmo anche politicamente impegnata a cambiare il mondo. Ma anche in questo caso Oliver ci stupisce, nella sua timidezza ci racconta il suo disinteresse per la politica.
L’autobiografia ci fornisce una visione nuova di Oliver Sacks, un narratore di storie di malattia che arricchisce l’osservazione clinica classica, quell’osservazione senza trionfalismi, che nel provare la L-dopa analizza in ambito scientifico gli effetti collaterali più che i benefici, tirandosi addosso l’ostracismo della comunità scientifica americana. La medicina narrativa deve molto a Oliver Sacks, al suo continuo ricercare il vissuto della malattia allargando e arricchendo l’analisi clinica a favore di una migliore cura della persona malata.
“In movimento” è un continuo intreccio tra la narrazione di se stesso, delle proprie malattie e la storia di come ha costruito e sperimentato le narrazioni alla base dei propri libri. Questa breve recensione non può che essere conclusa con una delle ultime frasi del libro. “Nel bene e nel male, io sono un narratore di storie. Ho il sospetto che un’inclinazione per le storie, per la narrazione, sia una disposizione umana universale, che va di pari passo con le nostre facoltà di linguaggio, con la coscienza di sé e con la memoria autobiografica”.
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